Duemilaquindici

Duemilaquindici

Allora è così che si fa? Ad ogni compleanno importante, che ne so, un trentesimo, oppure ad ogni fine anno, se hai un blog fai un post tirando le somme, e se non ce l’hai ti sfoghi su Facebook. E se non hai Facebook sei uno sfigato perché ce l’hanno tutti, ma sei anche tanto fortunato, perché sei libero.
Finisci per dire sempre le stesse cose: che è stato un anno difficile, pare che ogni anno sia sempre più difficile di quello prima, ma che dalle sofferenze se ne esce sempre più forti, che nonostante tutto hai incontrato persone nuove che si sono rivelate eccezionali, e che non te lo saresti mai aspettato.
Quindi:
È stato un anno molto difficile, impegnativo in tutti i sensi, ma in effetti anche l’anno prima non è stato da meno, per diversi motivi.
Sarebbe troppo noioso dire che è andato tutto bene, di non aver patito, di non essermi mai arrabbiata contro il caso e il destino, che amo e odio tanto, vero? No, non è vero, ma lo dicono tutti che nella vita ci vogliono colpi di scena, anche brutti, per mettere pepe alla propria esistenza. Che cazzata.

È stato un anno difficile perché pare che qualcuno da lassù o da laggiù abbia preso un timer e abbia detto: “ok bellina, ora come minimo una volta ogni tre tre settimane devi fare una scelta tra l’abbastanza importante e l’importante. E ho detto devi, non dovresti“.
Insomma, nel 2015 ho fatto molte scelte, forse anche troppe; la mia parte razionale può così chiamarmi una donna responsabile, quella irrazionale una palla di donna.
La cosa sconvolgente è che penso di aver scelto in maniera sempre razionalmente giusta, di non avere (quasi) mai sbagliato.
L’unico grande sbaglio che ho fatto quest’anno è di spendere 250 euro per una telecamera Panasonic che fa cagare, me l’avevano pure venduta con gli attacchi per il surf, che invece non ha. Un nervoso.
A parte questo, ho deciso o di non sbagliare, o di sbagliare molto poco. E non è un vanto, sia chiaro. A volte avrei voluto fare la scelta sbagliata per constatarne le conseguenze. Sarebbero state uguali o diverse? Anche se c’è da dire che l’anno prima ho sbagliato così tanto che si contano due anni, quindi sono in pari.

Quest’anno ho pubblicato il mio libro, il più grande avvenimento, che per me è stato come scalare l’Everest con i tacchi a spillo, e riscenderlo con gli zoccoli: una missione impossibile che poi alla fine si è rivelata possibilissima. E anche se tutti scrivono e possono scrivere un libro, io sono felice uguale. L’ho scritto per me, dedicato ad una persona importante, che a partire da pochi mesi prima della pubblicazione non ha fatto più parte della mia vita, e presentato in giro per l’Italia. Wow, “già” dodicimila scelte non proprio facilissime, ma le ho prese tutte.
Ho iniziato una marea di percorsi professionali nuovi, ho proseguito con quelli vecchi e ne ho pure tagliati diversi, mi sono data ancora di più allo sport, innamorandomi del surf, ho ricominciato a correre, pare il ginocchio tenga, a viaggiare il triplo, a imbastire lo scheletro del secondo libro, ho creato un account Instagram che ora come ora mi pare (senza motivo) un gioiello prezioso, The Nostalgic Traveller, e che è dedicato al mio amore per il passato e per le cose vecchie, vedi vecchie insegne, ad esempio, ho guardato tantissimi film, ho scritto un sacco, ho pensato molto a me stessa, sono stata molto con me stessa.
Insomma, mi sono data parecchio da fare, nonostante molti mi dicano quello che dicono pure a Fabio Genovesi: “beato te che nella vita non fai un cazzo”. E apparentemente è vero, che non faccio un cazzo; fare lavori creativi è come creare aria fritta ed essere pagati per questo. La pacchia pura (dicono).

Ho imparato ad essere meno stupida, meno bambina, meno drammatica, a studiarmi meglio per capire come agire e reagire.
Non ho imparato a fare una cosa per volta, a gestire l’entusiasmo, a cucinare, a mangiare sano, a non farmi ingannare dalle apparenze, a dare troppa importanza alle apparenze (qui sarà dura, sono un’esteta).
Eppure io mi arrabbio tanto quando mi giudicano per il mio essere bionda.
Ho capito dove sta il mio equilibrio, e come ho già detto non sta solo in città, sta sempre in punta di piedi, coi talloni alzati. È un paradosso davvero.
Tutta la consapevolezza che ho acquistato quest’anno, compresa quella di amarmi con le mie cosce muscolose, il mignolo monco, i punti bianchi sotto pelle e un fisico in generale non proprio di tendenza, m’ha fatto crescere di dieci anni rispetto all’anno prima. Ed è una bellissima sensazione crescere costruendo. E ho costruito distruggendo, togliendo inutili orpelli e anche cose che ritenevo necessarie.
Ho sempre a mente quella canzone degli Afterhours “Costruire per distruggere”:

“Siamo fermi qui a guardare verso il niente
siamo pubblico che spia un’incidente
perché il mondo a cui appartengo è già invecchiato
e mi accarezza anche il ricordo di un nemico
che bacerà la mano che lo abbatterà
liberandolo dal quel che è diventato
un pupazzo nelle mani di un’amore mai provato per
la gente che ti adora per la causa che non hai mai
sostenuto”

È la canzone della consapevolezza, che ho scelto di avere, a tutti i costi, una gigante conquista. Che è il contrario di mentire a se stessi. Ho scelto di non guardare verso il niente, e di non spiare un incidente, ho scelto di sostenere le mie cause, a tutti i costi. E se un incidente lo spio, perché sono umana, poi eccome me ne pento.
Ho scelto, brava me, insomma, no? Ma che palle, è troppo difficile essere brave, troppo faticoso.

Poi certo, arrivano le altre ovvietà: ho incontrato persone, perché anche se ho fatto una vita meno mondana dell’anno prima, non sto certo chiusa in un monastero, molto belle e anche molto brutte, grazie alle quali ho capito che non ci voglio avere niente a che fare, o se proprio devo, ho capito che le devo trattare come loro trattano me: male e senza pietà.
Insomma: maremma quanto sono stanca, quanto sono stanca di essere saggia, anche se è la cosa giusta per definizione e pure in pratica. Ma essere sagge è davvero saggio? Non funziona come le diete? Che certe volte è saggio, doveroso, trasgredire? La ricerca della perfezione è imperfezione, diamine.
L’oroscopo dice comunque che il 2016 sarà l’anno del Leone, cioè, lo hanno detto quegli omini dal sorriso smagliante tipo Fox e Branco. Lo spero per loro sennò vado a cercarli sotto casa. Ecco, vedi? Cerco la perfezione perfino nelle stelle.

Per ora, con un selfie, che è la mia vera immagine di me stessa, dico come disse Margot (Tenenbaum): I’m fine, thank you”.
E che nel 2016 spero di sbagliare un pochetto di più, allora sì che sarei sulla via della (im)perfezione.

Comments are closed.
  1. giulia

    31 December 2015 at 18:04

    il tuo libro è bellissimo e soprattutto vero, per il resto ti auguro un 2016 pieno di tutto ciò che vuoi e di essere perfettamente imperfetta!!!

    • Lucia

      31 December 2015 at 18:06

      Grazie di cuore davvero 🙂