Quella busta di caramelle frizzanti di Sorrento

Quella busta di caramelle frizzanti di Sorrento

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Il tizio della Circumvesuviana o si credeva figo o era semplicemente maleducato. Ficcava la chiave dentro il buco vicino il portellone con una tale noiosa routine che avrebbe infilato qualsiasi persona si fosse trovato davanti. Una persona come un buco dove mettere una chiave. Forse quel tipo tatuato lì vedeva davvero tutti come grandi buchi neri da infilzare. Penso avrebbe anche goduto parecchio se avesse potuto aprire le budella di qualcheduno, incazzato com’era del suo lavoro di controllare e aprire e chiudere le maxi fessure del treno ad ogni fermata.

Un sacco di umanità, tra cui una bellissima vecchina coreana con guanti bianchi, lei tutta da fissare come uno sguardo puntato di Sharon Stone, il tipo-che-si-credeva-figo appunto, dei ragazzi che per dire che c’era crisi in Grecia hanno usato un’espressione che ho rimosso per l’unico motivo che era incredibilmente assurda, ma aveva a che fare con un basso tasso di alfabetizzazione, un bambino grasso accasciato per terra davanti alla mamma grassa sudata fradicia, come me del resto, e che penso sia stata la sosia umana di Nonna Papera, solo che era Mamma, un’elegantissima signora con la nipote tenuta diligentemente per mano, che teneva a sua volta per mano una bambola, e tante scarpe brutte.
La Circumvesuviana mi piace molto. Ci sono palloni da spiaggia e passeggini, capelli bianchi e tanti gioielli, mani tenute dietro la schiena e occhiali da sole normali, non all’ultima moda, cappelli di paglia o con stampata la pubblicità di qualche bar, e svariate schiene bruciate.
La crema santiddio, la crema.

Con la Circumvesuviana da Pompei sono arrivata a Sorrento. Premesso che ho messo a piede a Pompei, una città che è sempre esistita per me solo e soltanto nei libri di scuola (e invece esiste davvero, c’ho le prove), tornare a Sorrento è stato come balzare fuori dal sussidiario (Pompei, appunto) e finire su una guida turistica dalle pagine circumnavigate da limoni.
Dico “tornare” perché a Sorrento ci sono stata tredici anni fa, e le cose sono due: o s’è rimpicciolita o sono aumentati i turisti, perché le stradine del centro me le ricordavo più ampie.
È la “famosa” moltiplicazione dei limoni e dei turisti.
Ogni volta che mi trovo in un posto altamente turistico come Venezia, Roma e Sorrento appunto, mi chiedo sempre come se la vivano gli autoctoni. Sono contenti perché tutto ciò manda avanti l’economia? Sono arci-contenti per una papabile riproduzione mista con inglesi o francesi? Sono scontenti perché è davvero troppo? Non l’ho chiesto a nessuno, anche perché le uniche autoctone con cui ho avuto a che fare da vicino sono state due titolari di un ristorante alle quali avrei volentieri chiuso la bocca infilando in gola due grosse bocce di limoncello.
“Chi siete? Chi vi ha mandate? Siete all’Ostello? Chi vi ha mandate? Ringraziate chi vi ha mandate”.
Ansia. M’ha mandato ETI-telefono-casa.

Comunque se sia ha una minima capacità di isolamento e ci si immagina Sorrento un po’ meno trafficata, è una favola. La favola sta in due “cose”: nelle botteghe fatte apposta per i turisti, quelle coi prezzi grandi come aquiloni esposti su magliette con dei versi dedicati a Sorrento e magari mal tradotti in inglese, con i souvenir ammassati, le incisioni e i confetti al limone, l’odore di pelle dei sandali fatti a mano e i ristoranti fatti apposta per gli inglesi che vogliono assaggiare una grande fetta d’Italia.
E poi, l’altra “cosa”, è la Sorrento che se ne frega, quella del Dopolavoro, ovvero dei vecchietti che giocano a carte nel loro territorio, che è anche quello dei turisti, ma loro si leccano il pollice destro e sfoderano assi di cuori e picche come se nulla fosse, quella del piccolo porticciolo di barche, sotto la Sorrento più conosciuta, quella di Sofia Loren, dove ci sono solo gli abitanti con i duemila figli al seguito, i nonni e le nonne buttati a mollo e la barista che quando tu capisci che l’acqua costa 3 euro ti ride in faccia dicendo che in realtà costa il triplo meno.

Sorrento è una bustina di caramelle frizzanti scoppiata in bocca e goduta con le palle sulla spiaggia, gambe divaricate e la testa un po’ spostata verso destra a guardare il mare di sbieco.
E quando l’effetto effervescente passa te la godi ancora di più, con quella tranquillità tipica del Sud Italia.
Raggiungi l’apice della rilassatezza se accetti tutti gli assaggini di limoncello che ti danno: arrivi a fine passeggiata che vuoi solo un caffè col gelato e una sedia-sdraio sulla spiaggia.

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