Trieste, scontrosamente graziosa, aveva ragione Umberto

Trieste, scontrosamente graziosa, aveva ragione Umberto

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Come posso definirla? Ce l’ho perfettamente in testa, sulla punta della lingua, ma da quella non si vuole staccare. Il motivo lo so bene: non è mai facile affibbiare aggettivi o frasi coerenti a ciò che di più incoerente è.
Così ho fatto la cosa più ovvia per una come me che è purtroppo sempre attaccata a Google: ho digitato su quella stringa che oggi non ha disegnini particolari, forse è in vacanza pure Google, il nome della città interessata.

Trieste. Umberto Saba. È lui che m’ha illuminata, e l’ha fatto così: “Trieste ha una scontrosa grazia”.
E Umberto staccò così le parole dalla punta della lingua.
A Trieste c’è l’agitazione stagnante della guerra, la vivacità del mare, la severità mitteleuropea, l’eleganza nordica, l’accennatissima scompostezza italiana, la misteriosamente coerente confusione di un porto franco.
Pare una città vecchia (e per me è ovviamente un complimento), e quando ti giri intorno consolidando sempre più la tua credenza ecco che l’altra parte, quella giovane, ti tira un calcio in culo facendoti non cambiare, ma rivedere la tua idea precedente.
Lo Stabilimento Balneare Ausonia è il ritratto perfetto di Trieste, ovvero di come vecchio e nuovo convivano insieme: costruito negli anni Trenta, e rimasto pressoché invariato, è stato poi fuso con lo Stabilimento Balneare Savoia, ed è oggi meta per grandi e piccini, anche se, architettonicamente parlando, non ti c’immagineresti mai delle persone a colori. Tutto ciò che vedi è in bianco e nero, tutto, a partire da quella bellissima e a tratti commovente insegna in corsivo stampata su un immaginario quaderno a righe (le righe del mare, dell’orizzonte), Ausonia.
Perché non mi venite a raccontare che voi lì non ci vedete costumi a vita alta o interi, capelli eleganti anche al mare, e quella meravigliosa formalità tipica degli anni addietro.

Trieste è come se fosse stata disegnata, non schizzata, non scarabocchiata, ma disegnata dal più preciso dei disegnatori, che se qualora avesse fatto una sbavatura si sarebbe beccato dieci schiaffi sulle mani e un’ora conl e ginocchia sui ceci, come minimo.
È precisa, tutto pare funzionare, tanto che la domanda è, purtroppo quella: “Ma siamo in Italia?”. La risposta infatti è “nì”.
Cavolo, sono stata lì per International Talent Support, ed è stato tutto un “no, dai, non ci credo”. Non potevo credere che tutto funzionasse e fosse organizzato così alla perfezione. Non sono mica abituata io.
La sprecisione c’è, ma è dentro le regole. Che Trieste sia la pseudo platonica città ideale? Ma forse è un ragionamento mio da turista da meno di un giorno, bisognerebbe chiedere ai diretti interessati.

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