Quella certa dipendenza dal tasto Invio

Quella certa dipendenza dal tasto Invio

Invito Romanzo Lucia Del Pasqua

Il rischio di questo post è che sia molto banale, ma non m’importa affatto, sinceramente.
Non è molto facile parlare di questo argomento, perché adesso è l’argomento più importante di questo pezzo della mia vita.
Ho scritto un libro. Io ho scritto un libro. Io. Ho sempre voluto scrivere un libro, ne ho sempre iniziati tanti, lasciati lì, sigillati in cassetti mai volutamente riaperti. Ho scritto roba da adolescenti, robe immaginarie (la cosa che mi diverte di più), robe cretine, robe talmente tanto filosofiche da non capirle manco io dopo la seconda rilettura.
Ho scritto cose senza sapere che nei libri si potesse parlare di tendenze. Davvero allora va come per la moda? Sono stata così tanto egocentrica fino ad ora da pensare che solo la moda potesse avere dei trend? (Sì, evidentemente).

Quando mi hanno detto di scrivere un romanzo, io ero felicemente disperata, perché non avevo mai scritto un romanzo, ma avrei comunque dovuto scriverne uno.
La paura maggiore che avevo era quella di apparire banale e scontata, e poi di non farcela, perché, diamine, ma come si fa un romanzo? Scalette? A caso? Come? Tutto quello che si trova su Google in merito non mi ha affatto aiutata, anzi. Ho deciso di avviarmi in quest’esperienza alla mia maniera: di cuore, senza un metodo preciso.
E la verità è che ho patito molto a buttarlo giù, perché quando tengo molto a qualcosa ho il terrore di poterla rovinare. Mi sono goduta il piacere della scrittura quasi a opera finita perché solo alla fine ho capito come funzionava scrivere un romanzo. Infatti piano piano sto iniziando a scrivere un ipotetico secondo e mi sto divertendo molto, ora ho inteso. Ed è completamente diverso.

E poi quando l’ho terminato ho pianto come una bambina davanti alla casa nuova della barbie.
Anche adesso piango. Quando lo guardo perché penso al primo foglio word, alle storie dentro, ad una mia ex storia importante al quale il libro è dedicato (si, glie l’ho dedicato anche se è passata), allo stupore nel constatare che io sappia inventare, e nella goduria nel farlo, a dove e come l’ho scritto, tra spiagge greche e scrivanie milanesi, alla rabbia e la gioia che c’ho infilato dentro, all’odore della carta, la mia carta.

Questo libro non è un’innovazione, è un esperimento, non parla di cose inedite, sono io che parlo a modo mio di società social, di rapporto umani, di quotidiani casi umani, di Milano, della Grecia, passando per Parigi e Londra.
Ci sono parti autobiografiche e altre no: Penelope, come me è una gattara convinta, giornalista e blogger, una che brama il ritorno delle cabine telefoniche e dei pen-friends, che brama fiori e non whatsapp mozzati, o banalmente telefonate, che agogna la normalità di comunicazione; lei però è quasi più cinica e stronza di me (pare impossibile eh?), incontra un sacco di uomini online (ecco, io no, a me online sono nate solo delle bellissime amicizie, anche con uomini), e quelli sono solo suoi, non miei, ispirati però alle realtà che conosco meglio (fanno parte del mondo della pubblicità, dei giornali, sono artisti in generale), ma anche che ignoro, dato che Penelope conosce pure uno che fa l’imbalsamatore.
Di quasi vera, perché poi anche quella è romanzata, c’è appunto una storia importante che ho vissuto, ho pensato che nonostante fosse difficile scriverne, valesse la pena raccontarla, perché è nata in un modo quasi irreale, e quindi lì Lucia è diventata quasi al 90% Penelope, una Lucia molto paranoica e possessiva (cosa che però io non sono niente di tutto ciò, a parte un po’ paranoica, ma è normale, sono una donna).

Alla fine di tutto ho pensato che scrivere un romanzo sia davvero come sottoporsi a varie sedute di psicanalisi, un po’ come fare lezioni di teatro; io per lo meno mi sono conosciuta meglio, ho sofferto molto a raccontare certi fatti, e a scoprire dei lati di me stessa che ignoravo, ho gioito molto, riso, perfino a crepapelle a imbastire cose mai successe, ho capito certe mie potenzialità e certe mie altre debolezze.

Lungi da me fare qui opere di convincimento coatto nel comprare il mio libro, che è un racconto di una donna normale, grande osservatrice, molto polemica, molto sensibile, convenientemente a volte cinica, spavalda in tutto ciò che non riguarda il cuore, per niente filosofica, pratica e stufa, molto stufa di un eccesso di comunicazione tecnologica. Voglio dire, se volete andate in libreria, dall’8 luglio lo trovate un po’ ovunque, altrimenti su Amazon, per esempio, e leggetevelo sotto l’ombrellone.
In genere sono molto critica nei miei confronti, adesso invece devo dire che il mio romanzo me lo rileggo volentieri, mi diverto, è leggero, ma soprattutto tengo a sottolineare non pretenzioso.
Non so se siano auto lodi, anzi no, perché non è certamente un capolavoro, ma pensieri a voce alta. Insomma, a me piace.

Ultimo pensiero, dopo i ringraziamenti ad Antonella, Baldini & Castoldi, Alessandra, Amalia, ai due “Federichi” che presenteranno il libro come me, e a tutte le persone che mi sono state vicino: solo in occasioni come queste, ovvero la presentazione di un libro, capisci molte cose.
Capisci l’egoismo di persone di cui ti eri circondata, il loro menfreghismo: “Non posso venire, ho altro da fare”. La verità è che pare che l’unica cosa per far capire alle persone alle quali tieni, tenevi, che stai passando un periodo molto importante e delicato, e che tu vuoi che ci fossero, è dire loro “mi sposo”, e non “presento un libro”.
Forse se mi fossi sposata certe persone sarebbero venute alla presentazione di giovedì, non avrebbero detto “non posso”.
Ma io presento il mio libro, e per me adesso questa cosa è importante.
Siamo talmente tanto ingabbiate da stupide convenzioni che provo quasi pena.
Ma sia chiaro, ho capito anche che ho amici bellissimi, conoscenti fantastici, persone che mi vogliono un bene dell’anima, e tutto ciò riempie il mio cuore più di trent’anni di botox. Sono fortunata.
Grazie.

P.s. Il 9 luglio a Milano siete tutti invitati. Ma proprio tutti.
P.p.s. Ho capito che l’ambiente “isola greca funziona”, quindi non mi resta che trovarmi l’isola perfetta per me, comprarci una casa se divento ricca, o affittarmi una casetta, meglio se in inverno, e rinchiudermi dentro per produrre il secondo. Grecia ti ho nel cuore.

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Comments are closed.
  1. Ilaria

    6 July 2015 at 13:22

    Per niente banale.
    Non vedo l’ora di leggerlo.

    • Lucia

      6 July 2015 at 13:43

      grazie 🙂

  2. paolasophia

    7 July 2015 at 17:32

    se il caldo non ci ammazza prima nel vaggio parma milano, saremo presenti!!
    paolasophia.blogspot.it

    • Lucia

      7 July 2015 at 21:15

      wow grazie!