Il mare d’inverno è lo specchio della bipolarità umana

Faceva freddo quel giorno, un bel po’, e penso si percepisca.
Avevo le dita dei piedi congelate, ma per una certa perversione credo mi piacesse percepire il ghiaccio della sabbia continuamente battuta da una pioggia incredibilmente glaciale. Penso si chiami “estremo bisogno d’entrare in contatto con la natura a qualsiasi costo”. In alternativa: pazzia.
D’altra parte ci sono delle volte in cui godo dei dolori, come per esempio quelli alle gambe dopo aver nuotato come una forsennata, quelli da graffio di gatto, perché lo amo, o quelli da mal di pancia dopo aver mangiato otto tonnellate di Haribo. E non penso di essere la sola.

Ecco, il mare d’Inverno fa godere, quanto dannare: godi perché sei sola, ti danni perché sei sola, dove sono tutti gli altri bagnanti? Godi perché è freddo, ti danni perché preghi venga presto il caldo, e poi quando viene non vedi l’ora sia ancora fresco, godi perché in quel momento sei un privilegiata, ti danni perché dopo un po’ ti stufi d’esserlo.
Soffri della felicità del sole, perché il mare d’inverno deve essere malinconico, poi però quando diventi saturo di nostalgia, preghi affinché Apollo mandi quaggiù raggi a tutto spiano.

Il mare d’inverno è esattamente lo specchio della bipolarità umana, e chi ci va no, non s’accontenta, s’accontenta, s’accontenta. Chi ci va ha bisogno di farsi delle domande per il gusto di farsele, senza la necessità di darsi delle risposte. È il gusto della ricerca.

Abito: Class Roberto Cavalli