Datemi un nonno come Hayao Miyazaki

Datemi un nonno come Hayao Miyazaki

1083_019812B.jpg

Levo subito ogni papabile suspence dicendo che è entrato nella rosa dei miei film preferiti.
Ed io non lo volevo manco vedere; non volevo perché io con i film ho pregiudizi, ce li ho sempre avuti, e solo in rari casi li supero, questo è uno. Cioè, mi devono forzare.
Un film di animazione? Ma no. E poi quei cartoni giapponesi? Ne ho avuto abbastanza di Lupin, Occhi di Gatto e compagnia bella, forse perché ci sono quelle trentenni che si sentono così cool nella maniera che mi fa più saltare i nervi a cantare le loro sigle, che mi hanno fatto congelare tutto l’amore che prima provavo per Jigen e Sheila.

Con gelato alla mano mi sono spiattellata sul divano e ho cominciato a vedere Spirited Away (La città incantata).
“Non mi piacciono questi cartoni, davvero!”, manco fossi una bambina che gode a fare le bizze.

Fino a quando Chihiro e i genitori non si sono trovati davanti ad un vecchio edificio. Lì è scattato qualcosa: io amo i vecchi edifici, e se sono aperti ci entro senza esitazione, sempre con quel filo di paura che poi si trasforma in adrenalina, coraggio, incontrollabile curiosità.
È stata questa affinità, questa filìa, a farmi rilassare i muscoli della schiena.
Chihiro mica voleva entrare, e che palle lei, non sa quanto è bello esplorare l’ignoto, quindi si trova a seguire controvoglia i genitori.
Si ritrovano tutti in quello che credono un parco abbandonato, bellissimo, affascinante, vorrei visitarne uno così sul serio, con una sola bancarella aperta e un cibo impossibile da non mangiare, troppo invitante.
Mentre i genitori si strafogano, Chihiro, contrariata ed arrabbiata, esplora il territorio. Incontra un ragazzino della sua età, Haku, che le dice di andare via subito; lei obbedisce, ma è troppo tardi: i genitori si sono trasformati in maiali, hanno peccato d’ingordigia, e il sentiero per tornare indietro adesso è un mare.

Non vi dico altro della trama, solo che da qui (e fino a questo punto c’arrivi con un’ansia che te la spiego) comincia tutto.
Comincia un mondo che io mi chiedo come possa essere stato immaginato; se fossi stata un genio l’avrei tanto voluto creare io (ma non c’è pericolo).
E invece è stato tale Hayao Miyazaki, il fondatore dello Studio Ghibli, che soleva trascorrere le sue vacanze in una baita di montagna, in compagnia della sua famiglia e di cinque bambine loro amiche. Ecco, l’idea per La città incantata gli venne proprio quando desiderò fare un film per queste bambine, un film pensato per ragazze di dieci anni.
Sì, altro che dieci anni, è un film senza limiti d’età.
A sua volta si è ispirato a Il meraviglioso paese oltre la nebbia, un romanzo fantastico del 1987 di Sachiko Kashiwaba, che a questo punto devo assolutamente leggere.

Non è corretto dire che Spirited Away “assomiglia”, bensì “a tratti ricorda” la Storia Inifinita, Alice nel Paese delle Meraviglie, La Volpe e l’uva, ma alla fine è tutta un’altra cosa. Pieno di allegorie, insegnamenti, trovate, sai già fin dall’inizio come va a finire, ma te ne freghi, perché questo è uno di quei casi in cui la fine è la cosa funzionalmente meno importante (pur essendo emotivamente fondamentale), e così spiattelli gli occhi su improbabili spiriti che odiano gli umani ma che poi imparano ad apprezzarli, su surreali paesaggi grazie ai quali ti auguri che il paradiso terreste sia esattamente così, su sinistre immagini che ti fanno accartocciare sulla copertina sopra la quale avevi messo la vaschetta di gelato allo yogurt ormai diventato yogurt tiepido, come quella del treno che opera la sua corsa sull’acqua, abitato da semitrasparenti uomini neri.

Insomma, all’inizio potevo affermare che a parte la fine, quasi niente è come ti aspetti,  “sorpresa” è la parola chiave per tutto il film, che manco è corto ma te lo bevi facile come una tazza di vin brulè, la sorpresa di vedere sempre nuovi personaggi e la loro spesso (sì) prevedibile evoluzione, nuove scene da cartolina immaginaria, trasformazioni spettacolari. Poi c’ho ripensato, non ci sono sorprese sui comportamenti dei personaggi: sai benissimo che prima o poi i cattivi si schiereranno dalla parte dei buoni, si addolciranno, che Sen, ovvero Chihiro, avrà sempre un comportamento esemplare e ligio, e che sarà l’unica a resistere a qualsiasi tentazione, un po’ anche perché è piccina, e a lei di certe cose come l’oro o le ricchezze in generale poco importa, ma soprattutto perché Spirited Away ha la sempre valida e sempiterna missione di dare insegnamenti, quelli di cui non ti devi stancare mai.
In fondo non dimentichiamoci il pubblico per cui è nato: quello dei bambini.
Ci sono sorprese sui personaggi stessi.

Film come questo hanno in vantaggio di farti allontanare dalla realtà pur impartendone indirettamente lezioni, di farti credere che da qualche parte questo mondo esiste, voglio dire, se Miyazaki se l’è inventato così da qualche parte deve pur averlo visto, è troppo dettagliato, troppo complesso in ogni sua parte, troppo tutto (compreso troppo bello).
Ho anche pensato che lui ci sia stato davvero in questo mondo, e che il suo staff l’abbia aiutato a disegnare i suoi pensieri.
Alla fine davvero le pensi tutte, l’unica certezza è solo una: lo yogurt non è più gelato.

spirited-away latest latest-1

Comments are closed.