Chi la fa l’aspetti

Chi la fa l’aspetti

love-wallpapers-lonely-teddy-bear-wallpaper-32017Mia nonna Corinna, la nobildonna della famiglia, portava due cognomi: Giani e Contini.
Spesso mi diceva: “Sai, Mamo – così mi chiamava – chi le fa un giorno o l’altro le sconta!”.
Le marachelle, le bugie con il tempo vengono sempre “al pettine”, credeva.

A quelle parole non davo importanza in quanto dettate da un’anziana, che come consuetudine, emetteva sempre massime calzanti. Mi trovavo a trascorrere il mese di settembre a Castiglione del Lago, che per chi non lo sa, è sul Trasimeno, come abitudine tutti gli anni fino a che mio zio Aldo non si decise di sposarsi. Erano i primi di quel mese e il caldo si faceva ancora  sentire e com’era allora, i bambini erano costretti ad andare nel pomeriggio a dormire: era così, e non c’era nulla da fare. Ma quel bambino, io, di dormire ne aveva poca voglia, come sempre è stato, e la sua mente, se pur infantile, si lambiccava sul come poter evadere da quella stanza per andare a giocare con i cugini vicini, i figli di mia zia Rina, sorella di mia madre, grande cuoca. Pensa, che ripensa, mi venne in mente uno stratagemma: avevo come compagno di notte un orsacchiotto abbastanza grande di peluche che mi sostituì nel letto.

Fui tanto bravo a camuffarlo da sembrare un bimbo che dormiva. La nonna fece una capatina in camera o per colpa dell’oscurità o per la scarsa attenzione, fu per lei tutto okay. Dopo poco mi avviai per la scala che porta al palco, dove risiedeva abitualmente il gatto della nonna. Si chiamava Fuffi, nome strano che mia madre gli aveva appioppato, come Tafi al mio ultimo felino; era bravo e affettuoso, girellone per tetti, a cui si accedeva dal palco. La nonna aveva una sola mania: voleva che la pasta fosse condita bene con la pommarola, e lei la sapeva far bene, da leccarsi i baffi. Nel palco oltre a cianfrusaglie e libri di scuola dello zio, c’era oltre che la gattarola, una vetrata che accedeva ad uno stretto passaggio sul tetto che portava  al palco di mia zia Rina. Io, dopo aver aperto con difficoltà la vetrata, ed armato di coraggio, o forse più di  incoscienza, mi avventurai per questo stretto ballatoio, senza ringhiera, e raggiunsi il palco della zia. Bussai al vetro e si affacciò mio cugino Paolo, più grande di me in età, uno dei quattro figli. Stava arzigogolando con sua sorellina, Gabriella, su un portamunizioni in ferro, trovato all’aeroporto militare di Castiglione del Lago, sotto le macerie di una palazzina. Suo padre era un Maresciallo dell’Aeronautica, che aveva il compito con altri di fare sorveglianza.  Io e Paolo si giocò come tutti i bambini di allora, alla guerra, armati di solo fantasia e di un elmetto inglese, tipo bacinella. Forse saranno state le nostre grida, ma ad un certo punto si vide apparire la zia Rina, che emise uno urlo di  meraviglia e di paura nel vedermi: infatti spaventata  si stupì con quale coraggio io avessi, alla mia tenera età, passato per una specie di ballatoio sul tetto con la possibilità di cadere giù. Al rimprovero mi misi a piangere e Paolo pregò la zia di non raccontare l’accaduto a mia madre perché sarebbe sicuramente svenuta. Conoscendola sarebbe accaduto senz’altro come successe quando uscii di casa di San. Giovanni V° dalla scala di ferro antincendio.

Finì così bene che la mia marachella, contornata d’incoscienza, rimase nel limbo dei ricordi. Un giorno, sempre di settembre, questa volta a casa di mia madre sul Lago Trasimeno, vennero a trovarci Paolo e sua moglie, che da molto tempo non vedevo;  parlando del più e del meno e rivangando il passato, ricordò questo episodio: mia madre non sbiancò ma del “mattarino” non mi mancò, dicendo: “Ma guarda un po’ come questo nasino da patata mi ha fatto fessa: mi sembrava, allora, che tu fossi troppo buono nel letto: davvero l’avevi sistemato bene il tuo orsacchiotto!”. Ad un certo momento  sento uno schianto: la sedia su cui era seduto Paolo, era un pezzo da novanta, si sfasciò: ci mettemmo a ridere. Ricordammo la nonna, la nobildonna, e mi tornò in mente  la sua massima con ”un forte pizzicore” al cuore.

del Dottor Del Pasqua

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