Absolut Symposium: absolutamente figo

Absolut Symposium: absolutamente figo

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“I ragazzi della 3 C”, la mia (vera) sezione, fuori da ogni citazione (ma con la rima), il Liceo Classico, la professoressa Contessa, invidiavo il suo cognome, la sua improvvisa accensione oculare come le lucine di Natale alla sagra di Ponte Buriano alla lettura del Simposio di Platone, ho sempre pensato che per lei fosse un po’ come fare l’amore.
Bei tempi quelli. Ma anche questi, s’intende.
Io sono il tipico caso di studentessa classica che ancora si ricorda un sacco di cose del greco studiato, forse quel “metodo” per cui m’hanno tanto rotto le palle ha funzionato, e anche il tipico caso in cui certe parole greche m’attivano un collegamento diretto con le versioni, il bianchetto e i fogli a righe divisi a metà.

Ho delle parole preferite nel vocabolario, come ad esempio “grazia”, “aggeggio”, e “trabiccolo”, anche “simposio” è una parola che mi piace molto, la uso spesso, in realtà un po’ perché è collegata all’amore, grazie a Platone, e un po’ perché presuppone lo stare insieme, il conversare, il condividere, fondamentalmente, lo star bene.
I tempi sono cambiati, da Fedro e Agatone a discorrere d’amore siamo arrivati a Chet Faker e a How to Dress Well a suonare musica “moderna” (e a documentarla né per via aurale o orale, ma per hashtag).

Chi l’avrebbe mai detto.
Dal vino alla vodka, che a me fa uno “strano” effetto, il Symposium ora è a base di Absolut.
Mi spiego meglio: per cinque giorni, dal 5 al 8 novembre, Torino è diventata il cuore pulsante di Club to Club, l’evento (uno dei pochi riusciti con il buco, come le ciambelle buone), dedicato alla musica elettronica, e per l’occasione Absolut ha trasformato l’intero AC Hotel nell’Absolut Symposium, un melting pot di artisti, giornalisti, blogger, fan che ogni giorno s’incontrano, bevono, ridono, suonano, parlano.
Altro che AC Hotel, forse avrebbe dovuto cambiare nome in AB Hotel. Un luogo dove c’è chi si gusta un drink nella Andy Warhol Cocktail Room (che celebra la bottiglia limited edition creata da Absolut e dedicata all’artista), chi si fa un giro sulla giostra, chi una partita a ping pong, chi vuole ascoltare live.
L’Absolut Symposium è uno di quei progetti che prevede meravigliosi e sperati imprevisti, come ad esempio trovare un’artista nella hall suonare il pianoforte o i primi oggetti percutibili che si trova sotto mano, insomma è una roba veramente figa che non si può chiamare evento, perché è una vera e propria esperienza.

Quando sono andata lì io era il primo giorno, direttamente da Catania a Torino, e c’era Chet Faker, un hipsterone che quando però lo senti suonare ti dimentichi che abbia barba e camicia a quadretti, è un talento pazzesco. L’ho ascoltato all’Hiroshima Mon Amour la sera, e al mattino in hotel in una session improvvisata.
Maremma, bravo vero.

Ma apriamo una parentesi sulla vodka: ormai mi sono autoconvinta che io abbia lo stesso problema degli asiatici, un’enzima…strano, ovvero che non possa bere più di tanto perché l’alcool mi va subito alla testa.
Al secondo bicchiere di Absolut Vodka (che per me equivale al sesto), all’Hiroshima, ero felicissima perché ero arzilla come se fossero le 10,00 di mattina e avessi dormito dieci ore.
Poi però sono arrivata in camera e sono praticamente collassata. Ho dovuto infatti ordinare delle patatine, che, ironia della sorte, non è bastato ordinarle, era necessaria una mia firma leggibile sul foglio dove c’era scritto “Lucia Del Pasqua 1 patatina”. E sottolineo: leggibile.
La scoperta dell’America è stata più facile.
Fine parentesi problemi personali con l’alcool (ma volevo rendervi partecipi, magari c’è qualcuno che come me al primo bicchiere canta già “La Marianna lava in campagna”).

Comunque seriamente: l’Absolut Symposium all’interno del Club to Club, è uno dei pochi progetti azzeccatissimi in Italia, riusciti benissimo e divertenti, perché si basa su un’idea originale, social e sociale insieme, alla cui base c’è la musica, che è uno degli aggregatori per eccellenza.
In più Torino: città meravigliosa che non conoscevo, con i vecchietti più stilosi del mondo, le insegne delle pasticcerie che sono ancora rimaste quelle d’una volta, una pulizia maniacale (per lo meno, per quello che ho visto), e un’apertura “europea” ammirevole. Io ci abiterei volentieri.

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