Trash: non solo cibo spazzatura (anche il denaro)

Trash: non solo cibo spazzatura (anche il denaro)

Per loro sarà stato come giocare a Super Mario Bros, un gioco da ragazzi, salta sul fungo, non ti ci scontrare, sii rapido, e punta tutto sui riflessi.
I bambini hanno la capacità di vedere il mondo e il suo carico di corruzione, di bruttezze, di cose talmente incomprensibili per delle menti così vergini da sembrare irreali, come se fosse un videogioco appunto. Per lo meno all’inizio, perché loro hanno il dono di divertirsi con praticamente tutto no? Perfino con le proprie gambe, saltellando tra una mattonella rosa ed una nera; poi però diventano grandi anche loro, pur rimanendo piccoli, perché certi vivono in un contesto tremendamente adulto, e realizzano, capiscono la realtà per quella che è, ed è spesso ingiusta, inconcepibile.

I tre bambini, che puntualizzo non sono attori professionisti, della pellicola Trash, il nuovo “film-favola-realistica” di Stephen Daldry, sono tre geni, nella realtà, perché sono d’una bravura assurda, e nella finzione, perché nel film esprimono alla perfezione ciò che tre bambini brasiliani delle favelas che lavorano in una discarica possono realmente provare.

Rickson Tevez, Luis Eduardo e Gabriel Weinstei: questi nomi non me li dimenticherò facilmente, perché sono nomi di tre bambini che hanno interpretato un film “da grandi” sulla corruzione nel Brasile dei “piani alti”, dalla politica alla polizia stessa.
Il mezzo che fa muovere ciascuna azione è un borsello, che è, chiamiamola così, la metafora figurata del denaro, che provoca per tutto il film danni e disgrazie.
Questo borsello contiene segreti importanti, tanto che la polizia lo cercherà in ogni dove (anche nella discarica dove lavorano i bambini) a tutti i costi, anche a quello di pestare un bambino e uccidere persone.
Davanti al Dio Denaro tutto è fattibile, e quindi possibile.
I tre cominciano allora il loro “videogioco umano”, lo fanno per soldi, poi si rendono conto che ci sono dietro cose molto più importanti, e cominciano a giocare da grandi pur disegnando, avendo fame, pur scherzando come fanno i piccoli.

Lo ammetto, ci sono delle scene totalmente surreali, come ad esempio il borsello che lanciato dalla finestra va a finire su un camion in corsa che andrà poi a finire nella discarica, o la Bibbia che, anche qui, lanciata da un bambino che corre centra esattamente il cestino dell’amico in bici, o la bambina dal vestito e le calzette bianche che vive in un cimitero. Ma si chiude un occhio, si perdona.
Si perdona perché Trash è un film di critica, politico, di avventura, polemico, arrabbiato. È un film che offre dialoghi sia parlati che figurati, è pieno zeppo di immagini, che senza musica sarebbero d’una bassissima qualità, ma la musica c’è, ed è come il cacao sulla panna, perfetta.

Alla fine quando Martin Sheen, nei panni di Padre Julliard, davanti a Rooney Mara (nel film abbastanza irrilevante), denuncia la Fifa ho provato la stessa cosa di quando Nanni Moretti ne “Il Caimano” aveva avuto le palle di denunciare Silvio Berlusconi: un brivido misto d’inquietudine e sollievo, una forza che ti va fino alle punta delle dita, che vorresti poi scuotere come panni al vento. Sono quelle cose che tutti sanno, ma che, chissà perché, nessuno dice chiaramente, nessuno sbandiera ai quattro venti.
Chissà perché.

E ci sarà una soluzione? Alla tragedia brasiliana, perché è una tragedia, una tragedia nel paese che pare la patria della commedia; potranno tutti, un giorno, uscire dall’omertà, ci potrà essere davvero una giustizia oggettiva, e non soggettiva?

Il film termina con un messaggio di speranza, hanno vinto i bambini, i giusti, i poveri.
I poveri, che una volta afferrato il denaro, lo lanciano ai quattro venti.
Perché alla fine il denaro è la prima spazzatura del mondo. E adesso, per chi dice: “sì ma con i soldi ci si fa tutto”, io rispondo così: “vero, ma quel tutto deve essere pulito”.

Un ringraziamento speciale a Mac Cosmetics che mi ha dato l’opportunità di andare al Festival del Cinema di Roma e vedere questo film.

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