In prima fila non ci vai se l’influenza non ce l’hai

In prima fila non ci vai se l’influenza non ce l’hai

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Non ci sono mica più le prime fila d’una volta. Deve entrare nel cervello un po’ di tutti, in primis di quelli che scrivono: le prime file non servono più interamente alle grandi firme, quelle con blocchettino e penna giacenti in grembo, al massimo con iPad e indice; servono bensì alle nuove generazioni che stanno lì con cellulare, unghie colorate, e dita munite di centodue anelli per millimetro quadrato di carne, le stesse usate per “scrivere” tramite hashtag. Perché, lo sappiamo tutti, siamo la generazione dell’hashtag-veloce. E chi è più rapido ad “hashtaggare” vince un mongolino d’oro come web influencer super amazing, iper(mercato), top, super(man), cool, CEO, over(booking), AD (non casa), ultra wow.
A caso. 

E badate bene, ciò non è una critica, è solo un’analisi oggettiva su come i tempi siano cambiati.
Perché è inevitabile che tu ti ponga delle domande, se la fashion week la bazzichi, per lo meno io parlo di quella di Milano, che è l’unica che mi sono fatta, purtroppo: perché le prime file sono occupate da web influencers, le quali, alcune, manco influenzano postando live qualche roba che non sia una modella fantasma sovraesposta? Voglio dire, lo streetstyle è fuori, che c’entra dentro? Fuori sono tutte in prima fila, perfetto, che ci stiano, ma dentro pure? Sì, dentro pure.
È un Carnevale bello e buono, nel senso originario del termine, ovvero di ribaltamento.
Quello che pensa la gente è ciò, lo pensa ma non lo dice, quindi mi occupo io di tradurre il pensiero comune: chi le deve vedere quelle web influencers in prima fila? A che servono se non devono scrivere? Se non sono manco vestite del brand della sfilata, o anche se sì, chi le deve vedere? I buyer? I giornalisti? I PR? Si devono vedere le une con le altre? Chi?.
Quello che la gente istintivamente pensa, gli addetti del settore, è ciò, e lo pensa perché non è abituato, perché i cambiamenti sono sempre difficili: va bene l’attimo di gloria fuori, le magliettine Barbie di Moschino (della prossima Primavera Estate, tuttavia già fotografate da qualsiasi “originalissimo” fotografo del mondo fuori dalle sfilate), le passeggiatine, le finte telefonate, ma dentro è una cosa seria. Cerchiamo di differenziare.
Ecco il mio pensiero: dentro, in prima fila ci dovrebbe stare chi è davvero utile “al dopo”, chi scrive quindi, chi deve comprare, e sì, anche un podio di rodate e riconosciute web influencers e star italiane/i, ma non un reggimento di gente a caso che out of the blue, si trova tra la Wintour e quel genio di Tim Blanks.
Nella moda deve ancora esistere una gerarchia, non è giusto essere tutti uguali, perché non lo siamo. Le file servono a questo, per dirci, giustamente, che siamo diversi, per esperienza, visibilità. “influenza”, ma devono essere giuste, per l’appunto.
La verità è che se ci mettessero in prima fila, ci staremmo eccome. Tutti, me compresa, anche se quelle volte che mi c’hanno messo, presumo per puro caso, mi sono sentita molto in imbarazzo perché è prematuro. Ma in futuro, quando sarò “più popolare”, spero di arrivarci. Piano piano, quando sarò “brava e famosa”, entrambe le cose.
Insomma, il mondo del sitting è cambiato: la lotta è intestina tra le vecchie quotidianiste che pretendono la prima fila, e le blogger o anche solo instagramers, alle quali ormai la prima fila la danno di default.

Vorrei sottolineare che la mia non è una polemica, ma un’osservazione, un dato di fatto: la maggior parte dei front rows sta diventando sempre più la parte che non scrive, ma che fa scena, bloggers, starlette e stars, tutte insieme, e con il tempo penso il fenomeno sarà sempre più massiccio. Dovremmo tutti un po’ adeguarci, perché così è anche se non ci pare. 

Ho fatto i complimenti a Cavalli, non a lui di persona, per il sitting da Just: ecco, nella parte dedicata alle blogger per quanto riguardava i posti a sedere c’è stato uno studio meticoloso delle sedute che mi ha fatto quasi commuovere (e sono seria). Io ero in quarta fila, a scendere verso la prima, blogger oggettivamente “più importanti”. Sono stati bravi, ma c’è da dire che la loro è una location molto grande, quindi possono giostrarsi bene le sedute.

Insomma, dobbiamo entrare nell’ottica del cambiamento. Come se cambia un PR, può darsi tu non abbia più l’invito da quel marchio, anche giustamente, o se il PR è amico di una a cui stai sulle palle lui non ti invita, raramente, ma capita anche questo. Le meccaniche della moda sono strane, a volte “parentali”, a volte funzionano “a pelle”.
E scrivo tutto ciò con la massima serenità, perché tutto ciò è un dato di fatto, il cui riassunto è il seguente: se hai milioni di fans su qualsiasi social sei più figo di qualsiasi altro.

Ci sono altri dati di fatto: come quando vedi foto-fantasma perché sovraesposte sull’Instagram di magazines o bloggers e c’è chi ha il coraggio di commentare “che figo questo look”, quando “questo look” non può essere figo perché oggettivamente non lo vedi. Vedi solo che la persona che segui era lì, e solo questo fa figo. Ahimè.
Come quando vedi gente scattare milleduecento foto con il telefonino per ogni look, e poi non ne posta non dico una, ma manco mezza. Cos’è, va ancora di moda “il tenerlo per ricordo”?
Altro dato di fatto è ancora l’onda anomala di assurdità del fuori dalle sfilate, di quelle nude, quelle cesse, quelle che sanno di essere fighe e allora vanno al giro nude, ed io sono talmente tanto satolla di tutto ciò che ho deciso di non dire più le stesse cose, di guardare quelle coraggiose che sfilano per ore davanti a fotografi, morte di fama e di scatti, con occhi divertiti. Perché mi posso solo divertire, a vedere scempi e foto degli stessi scempi, o delle stesse belle donne scempiate da abiti ridicoli. Cioè, trovo tutto ciò estremamente noioso e fuori moda, soprattutto.
Va bene che la moda si ripete, ma si deve anche reinventare. Magari oltre ad Anna dello Russo c’è la Beppina Rossi della situazione vestita più figa di tutte da fotografare.
Bisogna accettare un altro cambiamento nella moda: se fuori sei qualcuno, sei qualcuno ovunque. Se appari ovunque, in ogni foto, con ogni vip della situazione, in ogni festa, mettendo dodicimila hasthag, comparendo in qualsiasi sito di streetsyle, quella è la via per il successo (per questo mi sono rassegnata!).
E ci guadagni pure.
Bisogna accettare che la comunicazione sia cambiata, che l’immagine sia tutto, e che sia molto più dei contenuti, anzi l’immagine che è anche contenuto, adesso lo sostituisce.
Lo “scotto” da pagare è andare ai party più esclusivi, cenare con la gente giusta, farsi i selfie con chi conta.
Bisogna accettare anche che il fatto che è passato di moda pure quello, il lamentarsi d’essere stanche. Perché è ovvio che siamo tutti stanchi. Diamine, io, a parte un giorno, mi sono fatta la fashion week in bicicletta, arrivavo a casa che mi tremavano le gambe, santiddio. Ma ho scelto io di farmela in questa modalità, e soprattutto, ho scelto io di farmela questa fashion week, non leggendo manco un comunicato, che non me ne vogliano gli uffici stampa, perché quando farò il mega report, voglio che sia diverso dal 90% di quello che troverò in blogs o siti vari.
Il giochino del “non vedo l’ora che finisca”, detto il primo giorno da chi, scusate il termine, o non fa una sega, o fa la bella statuina, mi fa di molto imbestialire, e non poco.
Il giochino del “non mangio da cinque giorni”, detto da chi sopra citato, porta la mia mente ad imbastire ipotetiche punizioni corporali.
Un altro giochino deve finire, quello di scadere nel cliché, l’articolo di Vice, magazine che a me di solito piace, mi ha fatta arrabbiare: questi sono andati fuori dalle sfilate a fare domande a certe persone riguardo Renzi, l’Ebola e l’Isis. Ora, io dico: la moda è la moda, la politica e l’attualità sono altre cose. Quella gente lì non è lì per salvare il mondo, infatti si occupa di moda, o è lì per far colore, è il loro momento di gloria, e a me, scusate il termine, fottesega se sanno qualcosa o no di quel preciso termine lì o della specifica situazione in Ucraina, perché è solo un mezzo per farli passare da mentecatti (perché, si intende, se o lavorano nella moda, o se ne sono invasati, il loro appellativo è quello di “mentecatto ignorante”, di default). Un conto è criticarli rimanendo “in tema”, ovvero perché sono conciati da pagliacci, e sono la prima a farlo, o perché non sanno chi sia Angelo Bratis, l’emergente che ha sfilato quest’anno al Teatro Armani, un altro è intervistarli su argomenti, sui quali ci scommetto le mutande e le palle che non ho, solo 2 persone su 10 sono davvero ferrati, bloggers, dottori, commesse e avvocati che siano.
Perché non fare queste domande per strada, un giorno a caso, ma invece proprio per la fashion week?
Risposta: perché quelli della fashion week sono universalmente riconosciuti come una manica di imbecilli, a priori.
Noi bloggers poi, siamo delle galline deficienti, senza un minimo di cervello, esaltate, morte di fama, in perenne cerca di vestiti, con miliardi di fans e followers comprati (leggetevi questo, a proposito) che millantano essere veri.

Tuttavia, personalmente questa settimana è iniziata con un mood positivo ed è continuata così, a parte certe parentesi, perché sono umana, e vedere certe cose fa drizzare i capelli anche a chi è glabro. Certe cose tipo l’udire le lamentele d’impazienza nello stare in fila, manco si fosse alle Poste, o vedere un numero decisamente innaturale di camminate innaturali in luoghi innaturali per raccattare foto innaturali, ma sono stati sporadici momenti, perché me la sono goduta, forse è la stagione in cui me la sono goduta di più perché sono partita anche con un altro spirito: “che bello, ho la fortuna di assistere ad alcune sfilate dal vivo, e di incontrare gente che mi sta simpatica, per quel che riguarda chi mi sta antipatico invece, tanto non ci parlo, mica me lo ha ordinato il dottore”.

Vorrei concludere con una piccola postilla, l’ho già fatta alcune volte, ma è bene ribadirla ogni tanto: io non sono stronza, come molti mi chiamano, sono una che ha scelto da tempo di rischiare. Rischiare di dire ciò che pensa, invece che fare come certi altri che in genere hanno le bocche che chiacchierano e lavorano a rotella, ma quando poi è il momento di aprirle apertamente, ops, gli si cuciono.
E allora, sorry, se questo vuol dire essere stronza, io sono la capa delle stronze.
Anzi, un’altra postilla: non sono l’invidiosa sfigata che vive per andare in prima fila, sono quella che fa riflessioni oggettive e che le scrive.

(le foto sono totalmente scollegate dal testo, penso si sia capito, le ho fatte a caso in un paio di sfilate)

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Comments are closed.
  1. Rosaria Mainella

    22 September 2014 at 8:32

    Sante parole!
    E, aggiungo, fighissime immagini scollegate!;-)