Voglio vivere a Wimbledon

Voglio vivere a Wimbledon

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Non c’era manco un hipster, manco mezza camicia a quadretti con le maniche corte con mini risvolto, manco un quarto di pantaloni skinny arrotolati, e se c’erano barbe, erano accompagnate da giacche normali (non sciancrate, non destrutturate, non over), o da polo da brand trascurabili con colletti a riposo. Scarpe concettuali: nessuna. Sia lodato Gesù Cristo.
Non ho visto nemmeno zarri nel senso più tamarro del termine, e se c’erano shorts con ettolitri di cellulite strabordanti, il sanguinare degli occhi provocato dalla loro visione era attutito dalla presenza di stilosi calzini di spugna (“stilosi” e “spugna” non è affatto un ossimoro) tipici di Wimbledon (io ne ho comprati due paia, uno per me, uno per l’omo, intercambiabili, il che significa che saranno entrambe miei).
Ho millantato miracoli (stilistici), ho millantato la società ideale platonica impiantata a Londra tra campi verdi e calzini bianchi, dove la cooperazione di tutti i cittadini è alla base.
Ma altro che cooperazione, tutto a Wimbledon pare davvero perfetto, così tanto da apparire irreale, un’irrealtà che pregherei esistesse davvero tutti i giorni e ovunque.
Che poi io, sinceramente, di tennis non ci capisco mezza mazza, non c’ho mai capito nulla, insomma, non so bene come funziona. Ma sono sempre voluta andare a Wimbledon, perché la sua storia m’ha sempre affascinata per diversi motivi, tra cui: è nato come un croquet club (vogliamo parlare dell’abbigliamento per croquet? E della bellezza degli “attrezzi del mestiere”?), ha visto passare una come Helen Wills Moody (che ammetto avere scoperto tempo fa su Pinterest facendo ricerche su completi da tennis), uno come Fred Perry, e poi vabè, Andre Agassi, il cui libro, finito in due giorni sotto l’ombrellone l’anno scorso non dico che m’abbia cambiato la vita, ma m’ha fatto riflettere parecchio (sarò mainstream, dato che lo dicono tutti, ma così è), e quindi Steffi Graff, le sorelle Williams…
Poi arriva Lavazza, il caffè ufficiale di Wimbledon, che mi ci porta, e con sé centinaia di “insulti” da amici che avrebbero voluto venire con me. Wimbledon come un concerto di Madonna, se non più popolare e sicuramente più civile.
Molto civile. Non avevo idea che il tennis potesse avere un’etichetta, delle regole ben precise, non avevo idea che potesse essere l’opposto del calcio: in campo si entra solo quando ci sono i cambi, per non disturbare, durante la partita è come essere a Messa, un silenzio di tomba, dai giudici di linea ai raccatta palle tutti sono rapidi, meccanici nei loro gesti e “caratteristici”. Quando qualcuno sbaglia non si odono bestemmie (come nel calcio, per esempio), bensì quei cori “nooo” come nei videogiochi o nei cabaret (avete capito quali?), se devi chiedere informazioni a qualcuno, quel qualcuno è disposto a starti ad ascoltare e a parlarti per mezz’ore.
Ma la cosa più allucinante (nel senso positivo, si intende) è la fila per entrare, che pur essendo pluri-chilometrica, è perfettamente composta ed educata. Facce annoiate, ma non arrabbiate. In una delle postazioni bar di Lavazza c’era anche quella stanga di Ivanišević, che s’è messo a distribuire caffè alle persone in fila. Ho amato.
Ho amato la tradizione radicata negli ospiti di Wimbledon nel mangiare panna e fragole e bere beveroni di Pimm’s, che anche se paiono un mix di chinotto e tè sono alcolici eccome.
Ho amato le persone, ciascuna di loro era interessante a suo modo, altro che uomini del muretto del Pitti, quelli la pappa in capo gli avrebbero mangiato. Ho amato il fatto di non vedere eccessi, di constatare che qualcuno può davvero andare ad una manifestazione perché realmente interessato (riferimento a Pitti e settimane moda varie del tutto non casuale), di respirare relax, zero ansia, gioia. Nessun show-off.

È stato come andare in un villaggio vacanza senza animatori rompi balle e con un sacco di giostre dalle quali puoi scendere anche se la corsa non è finita. E quando scendi hai davanti un normale streetstyle, dei vecchietti adorabili, i nonni perfetti insomma, come gli honorary steward, e dei giovanotti very polite. 
Tennis 10, calcio 0.
Sto per dire la cosa più banale del mondo, ma vera: è stata un’esperienza magnifica, voglio dire, io a Wimbledon ci vivrei, sarei anche circondata da tanto verde.
Grazie Lavazza (anche per fare quelle campagne pubblicitarie fighe, da sempre, le mie preferite sono quelle degli anni Sessanta/Settanta).

Foto scattate con Samsung NX30

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Giuseppe LavazzaSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSCSAMSUNG CSC

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Comments are closed.
  1. Federica Di Nardo

    1 July 2014 at 9:35

    bellissimo post!!!

    Federica
    http://www.thecutielicious.com
    The Cutielicious

  2. Chia

    24 October 2014 at 8:36

    Ho un amico che davvero vive a Wimbledon. Andare a trovarlo resta una delle cose più belle della storia del mondo e io nella east end non ci vado, non ci vado e non ci vado!