A Milano: quante sorprese!

A Milano: quante sorprese!

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Diciamoci la verità, le sorprese non le ho avute solo a Milano, ma anche durante il viaggio in treno. Bisogna sempre dire in certi casi che “il mondo è sempre piccolo”, infatti come accade spesso durante un viaggio, ho fatto conoscenza con una signora, che oltre ad  essere logorroica (sono tanto ”simpatiche”, sì), aveva una inflessione che ho riconosciuto familiare: umbra, come era la nonna di Lucia, e per di più era di Castiglione  del Lago, paese-castello arroccato sul Trasimeno, paese di nascita della nonna. Facendola corta io e questa signora siamo giunti alla conclusione che ambedue eravamo lontani parenti: indovinate di quale comune parente: del “sorcio”, che era un  fratello di mio nonno materno. Non domandatemi perché gli avevano affibbiato questo soprannome. Io me lo immagino in realtà, con quello che le malelingue vomitavano…

Giunti alla Stazione di Milano, ancora si parlava del più e del meno, e…che sorpresa! Ci viene incontro Lucia, che era accompagnata da Fulvio, suo amico ed anche mio, che ci salvano dall’autobus sempre troppo affollato (plurale infatti c’era anche Anita mia legittima “sposa “da oltre 35 anni). La bella sorpresa è stata la presenza di Fulvio, che gentilmente ci ha dato un passaggio con la macchina fino all’abitazione di Lucia.

Davvero Fulvio è un bravo “ragazzo”, uno di quelli che ha ancora atteggiamenti che ti fanno piacere. Come per esempio un uomo, cosa rara oggi, che offre dei fiori ad una bella ragazza su cui ha posto gli occhi, rappresenta un carattere deciso, che sa quello che vuole, e ciò fa piacere ed incuriosisce una donna.

La terza sorpresa, debbo enumerarle, è la presenza in casa di Lucia di un gattino, anzi gattina, la quale non ci ha fatto tante feste né “soffiate” come faceva quella la del mio gattone Faffi. E’ una tigrata, un po’ magra, sempre alla ricerca del cibo; Lucia l’ha ”battezzata” Lina, ma a me è venuto in mente un soprannome, di memoria manzoniana, ”la smilza” dato che Lina è parecchio affilata. Alla fine con la smilza o scusatemi, con Lina, abbiamo fatto amicizia.

Verso l’imbrunire mi è venuta una pensata “geniale”,  ho lanciato l’idea di andare a cenare in un buon ristorante in centro. Lucia ha preso al volo la mia idea, dicendo: “Vedrete che bella sorpresa!”. Prendiamo la metropolitana, la gialla, e ci fermiamo a Porta Romana. Qui facciamo una camminata per sgranchirci le gambe dopo aver passato il pomeriggio in poltrona a vedere le donne a fare il “cambio di stagione”. Sapete dove siamo entrati? In un ristorante giapponese, dove una cameriera, abbastanza carina, con inchino ci domanda se avevamo prenotato, e saputo il nostro cognome ci accompagna al tavolo. Guardo a destra a sinistra e davanti a me: a sinistra c’è il fondo della  sala illuminata da due lampadari, stile orientale che emanano una luce diffusa, dando un senso di mistero; a destra noto un bancone, penso di lavoro, dove il personale prepara i piatti tipici; davanti a me osservo alcuni avventori, nostrani, che tentano di mangiare una specie di tagliatelle o vermicelli con le bacchette: era più quello che ricadeva nel piatto che quello che entrava in bocca; ma davanti a me ho anche la mia Anita, a cui rivolgo  uno sguardo disperato come di richiesta di aiuto. Lei incomincia a ridere tanto da coinvolgere Lucia, che per ridere è l’asso. L’allegria ci prende tutti e tre, ma  allo stesso tempo  il sottoscritto pensa alle bacchette, che sta “trastullando” con le mani e alla fine mi viene in mente un’idea che mi tranquillizza. Portando il menù, scelgo, indovinate: piatti dove l’uso delle bacchette è ridotto al minimo o inesistente. Ordino un antipasto, che credo sia un budino di riso e pesce crudo, di piccole dimensioni, facile da prendere con le mani come i gamberoni alla brace con contorno di una specie di fave verdi (in verità di soia) davvero squisiti e purtroppo un misto di verdure tagliate fini, che aspettano “con trepidazione” di essere prese dalle mie bacchette, che non riesco ad usare, e alla fine dei salmi la tipica ed amata forchetta mi aiuta a vincere questa “guerra”. Certamente debbo ringraziare le dita della mano destra  e una marea di  salviette, se sono riuscito nel mio intento. Stante le mie precauzioni qualcun altro è riuscito a togliere l’odore di gamberoni: la smilza, Lina, con qualche “lavatura” di troppo durante la notte, mentre dormivo.

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