#acatforaweek

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polly3

Non so come si chiami esattamente: felinofilia, gattologia, patomiciologia, mente-cat-tologia. Io la chiamo “semplicemente” cocchinofilia. E’ l’amore, quello che ti rende totalmente rincoglionita, che ti fa parlare come una deficiente quando fai quella vocina ridicola rivolgendoti ai bambini, credendo di metterti al loro livello, verso quei grandissimi cocchini dei miciogattoni

Sì, sono una gattara, se potessi prenderei tutti i gatti del mondo e li metterei nell’Arca di Lucy e via. Da vecchia mi vedo già con la piazza sui capelli unti e bisunti, e la sportina di plastica colma di scatolette, al parchino sotto casa.
Io ho avuto due gatti, entrambe con lo stesso nome, Faffi, solo che uno era rustico e secco, l’altro indipendente e obeso, molto più personaggio, anche se mi piaceva molto più il primo, solo gli ultimi anni del secondo sono stati quelli che mi hanno fatto capire quanto possa essere bello e simpatico un gatto grasso con la testa grossa quanto la tua. Solo quando perdi un micio capisci che in realtà non ha quattro zampe ma due, non miagola ma parla, non ti fa i dispetti per nulla, te li fa se lo fai sentire abbandonato. Puttanate che i gatti sono indipendenti e amano farsi i cazzi loro. Puttanate. E per favore, non voglio sentire paragoni con i cani, sono due cose diverse, entrambe ti vogliono bene.

Penso che Polly sia un catto (cane + gatto), perché sinceramente non avevo mai incontrato un animaletto così. Così in tremila sensi. Così che se gli tiri una palla te la riporta, che se sei a tavola, lui deve mettersi al tuo stesso livello, così che se dormi, lui deve dormire con te.
Sinceramente non vedevo l’ora che Roberto se ne andasse in vacanza per fare la cat-sitter a Polly, una settimana in villeggiatura a Milano Nord, con la Del Pasqua Pu-pazzi family. Chissà se andrà d’accordo con Furby, o con Winnie. Con Kitty impossibile, fra donne si sa, è sempre più difficile.
E poi  è successo: sono impazzita. Ma impazzita sul serio. Quel Venerdì non sono uscita per stare con lei, Sabato idem. Quando dopo un giorno siamo diventate amiche,  la mattina mi dava il buongiorno scambiando la pancia o la schiena, a seconda della mia posizione, per una comoda cuccetta. Voleva le carezze. Sono impazzita a farle foto, video, tutto. A guardarla mentre mordicchiava la pianta… sì, me ne rendo conto: è una dichiarazione d’amore da un’umana ad una felina, una relazione lesbo umanimal quindi.
Mi sono rassicurata quando ho saputo che chi è gattara è esattamente come me: sprigiona molecole di affetto che ad un certo punto si rompono sopra quei cocchiniallariscossa, che si fanno dunque il bagno ricevendo particelle di calore che trasformano in fusa, ridandole quindi a noi sotto forma di dolcissime vibrazioni. E’ uno scambio.

“Ma se ami così tanto i gatti perché non te ne prendi uno?” Perché a chi lo lascio se vado via? Chi gli da le scatolette al pollo o al manzo? Chi le crocchette?
Dopo un anno non ho ancora trovato una risposta precisa, ma ci sono quasi. Dopo dieci felicissimi anni di famiglia mononucleare (a Milano sono io, me medesima) sento che è il momento di andare a convivere con qualcuno, un compagno pelosetto da accarrezzare e grattare. Fanculo se mi graffia poltrone e tappeti. Fanculo proprio.
Ho fatto “la prova” con Polly, ed è diventata mia amica, penso di piacerle e lei piace a me, ovviamente. Sono pronta no?
Ho solo un timore: rincoglionire più di quanto non lo sia adesso. Anche se forse potrebbe essere impossibile. Non restrebbe che provare…

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